In un momento in cui la raccolta sangue è al centro del dibattito per le carenze che nelle ultime settimane hanno contraddistinto la situazione in Italia (650 unità mancanti nella rilevazione del 18 agosto scorso e 410 unità in quella del 3 settembre) è bene ricordare alcune peculiarità del dono in Italia, e in particolare alcuni principi basici, e soprattutto etici, che fanno del sistema trasfusionale italiano uno dei più apprezzati in tutto il mondo.

L’anonimato

Il fatto che il ricevente della donazione non sappia chi è il donatore grazie al quale potrà guarire, e che il donatore non conosca il paziente che sta aiutando, permette di trasferire il concetto di donazione su un piano più alto del semplice intervento basato sulla contingenza, come invece avveniva in passato, quando a donare per un paziente erano amici o conoscenti. Il gesto di donare diviene così un gesto di piena consapevolezza, che assume un valore non occasionale ma assoluto, rivolto al bene della comunità, nell’ottica che se noi doniamo anonimamente per il bene degli altri, al momento opportuno, in caso di bisogno, troveremo qualcun altro che lo avrà fatto secondo i nostri stessi principi, e noi potremo usufruirne.

La gratuità

La gratuità del dono di sangue e plasma è un tema molto dibattuto nel mondo, perché in alcuni paesi importanti come per esempio gli Stati Uniti d’America basano i loro sistemi di raccolta sulla retribuzione. Come ben sappiamo, gli Usa producono, retribuendolo, quasi il 70% del plasma mondiale destinato alla produzione di farmaci plasmaderivati, e sul tema ci sono state inchieste importanti come quella del 2019 sul New York Times, che discutono le molte criticità di un sistema a pagamento, come sfruttamento per le classi più deboli, qualità discutibile del plasma raccolto, distruzione di una cultura del dono forte nel lungo periodo.

In base all’a partire dall’articolo 21 della Convezione di Oviedo per la protezione dei Diritti dell’Uomo e della dignità dell’essere umano nei confronti dell’applicazioni della biologia e della medicina, una commissione internazionale nella quale per l’Italia era designato Carlo Petrini dell’Istituto superiore di sanità, ha generato alcune linee guida, tra cui la seguente:

La donazione del sangue deve essere volontaria e non deve essere accompagnata da nessuna forma di pagamento. La nozione di “non remunerazione” non esclude la possibilità di elargire legittimi rimborsi ai donatori. Occorre stabilire un preciso confine tra legittime forme di rimborso (per spese sostenute o per mancati guadagni) per i donatori e qualsiasi beneficio (non solo finanziario) associato alla donazione. Il rimborso deve essere rigorosamente limitato ai costi sostenuti o ai mancati guadagni direttamente associati alla donazione. Non si deve escludere la possibilità di indennizzo per eventuali danni attribuibili alla donazione.

La gratuità del dono, in altre parole, serve a garantire che la ragione che spinge a compiere un gesto del genere, sia culturale e non materiale.

L’ultima campagna del Cns che punta sui benefici psicofisici per chi dona

La volontarietà

Strettamente connesso al concetto di gratuità, l’idea che il dono del sangue sia un gesto da praticare al 100% in maniera volontaria e consapevole, lo valorizza enormemente sul piano culturale. Decidiamo noi stessi di donare qualcosa di intimamente personale come una materia biologica che è nel nostro corpo e lo facciamo volontariamente, in totale armonia con noi stessi, perché sappiamo che è giusto e che aiuteremo altri esseri umani. È impagabile il senso di benessere psicofisico che il donatore riceva da tale consapevolezza, un patrimonio che consente la trasmissione dei valori da persona a persona e da generazione in generazione.

L’associazionismo

In Italia esistono varie associazioni organizzate e, come stabilisce l’articolo 7, comma 2 della Legge 21 ottobre 2015, 2019 “le associazioni di donatori volontari di sangue e le relative federazioni concorrono ai fini istituzionali del Servizio sanitario nazionale attraverso la promozione e lo sviluppo della donazione organizzata di sangue e la tutela dei donatori”.

Il ruolo di Associazioni e le Federazioni di donatori, che senza dubbio è fondamentale nel sistema trasfusionale nazionale, è quello di lavorare “in accordo con le istituzioni e le strutture trasfusionali di riferimento regionali e locali, per il raggiungimento del fabbisogno nazionale di emocomponenti e di emoderivati”. Un supporto enorme in termini di promozione, diffusione dei valori del dono, e impegno nella raccolta che sarebbe impossibile da svolgere in autonomia dal sistema sanitario nazionale.

L’organizzazione

In un sistema sofisticato che deve funzionare in un paese ampio, difficile, complesso e molto popolato come l’Italia, un’organizzazione efficiente è più che fondamentale. Il Centro nazionale sangue si occupa di coordinare i vari stakeholder del sistema trasfusionale, e le associazioni svolgono l’attività di chiamata dei donatori periodici, una modalità utilissima a evitare sprechi e a gestire in modo costruttivo il turn-over dei propri affiliati. Ovviamente esistono delle criticità, come per esempio l’esiguo numero dei medici trasfusionisti, e gli orari di apertura dei centri trasfusionali in cui si può migliorare, ma a oggi il sistema trasfusionale italiano garantisce l’autosufficienza ematica per i globuli rossi al 100% e al 70% circa di quella del plasma per la produzione di farmaci plasmaderivati.

Numeri di assoluto valore che danno lustro al nostro paese in chiave internazionale.

(Fonte: Sito Donatori H24)