29 SETTEMBRE 2022

di Sergio Campofiorito

Il 2022, dati del Centro Nazionale Sangue, sta segnando una contrazione sulle donazioni di sangue e plasma rispetto al 2021. La curva del biennio è stata forzata verso il basso dall’emergenza sanitaria per una serie di motivi che sono contigui in un sistema di causa – effetto difficile da sciogliere.

Molti volontari sono stati colpiti dal Coronavirus e quindi impossibilitati a donare fino alla negativizzazione, il personale sanitario è stato assorbito dai bandi Covid (più remunerativi rispetto ai contratti di terzo settore) e quindi destinato a hub vaccinali e reparti ospedalieri. Le croniche carenze estive, cagionate dalle ferie (anche, ovviamente, dei volontari) e dal flusso della popolazione verso i luoghi di vacanza (più ci si sposta, più aumentano gli incidenti stradali, maggiore è il bisogno di sangue negli ospedali) sono puntualmente inasprite dall’emergenza West Nile Virus (chi ha soggiornato in una delle province dove è stata riscontrata la patologia non può donare il sangue per 28 giorni oppure la sacca deve essere sottoposta a test specifichi).

Per essere un donatore, dunque, non sempre basta buona volontà e senso civico. E, nel dibattito sul come agevolare alla donazione i volontari, e su come individuarne di nuovi, la Sicilia prova a dare il proprio contributo tramite una legge che potrebbe fare scuola nel caso si rivelasse vincente. Nell’isola, come testimoniato più volte dai responsabili delle associazioni, il problema più grande, soprattutto nell’ultimo periodo, è la mancanza di medici e infermieri. Come sottolineato da Stefania Vilardo, presidente della sezione locale di Avis Scicli (Ragusa): “Non soltanto nella nostra provincia – spiega –, ma anche in altre province siciliane diverse raccolte sono saltate a causa della mancanza di personale trasfusionale. Inoltre, in alcuni territori, penso soprattutto all’entroterra e nelle zone montuose, mancano i centri e per raggiungere i donatori c’è bisogno delle autoemoteche”. Di recente, la Regione Siciliana, con decreto del 13 settembre, ha adottato “Misure per incrementare la disponibilità del sangue, del plasma e dei farmaci emoderivati e garantire i livelli essenziali di assistenza sanitaria che necessitano di terapie trasfusionali”. Il provvedimento, dopo anni di pressioni da parte delle associazioni, prevede un impegno di spesa supplementare (rispetto, quindi, a quanto già dovuto) a favore dei medici impegnati nelle giornate di raccolta di venti euro ogni ora, quindici per gli infermieri. Una “incentivazione economica” (come si legge nell’articolo 1 del dispositivo) finalizzata a “consentire una maggiore presenza di personale sanitario nei punti di raccolta di sangue e plasma gestiti dalle associazioni dei donatori di sangue”.

mascherine
Medici e infermieri

“Da noi – chiosa Vilardo – i laureati in medicina vengono presto assorbiti dal sistema sanitario che offre loro contratti migliori rispetto a quelli del terzo settore. Questo decreto della Regione può rappresentare un valido incentivo per ovviare almeno al problema della mancanza di personale ospedaliero. La legge è appena entrata in vigore, vedremo nei prossimi mesi come andrà”.

Dalla Sicilia alla Puglia, Rosa Ardillo, presidente della sezione Fidas Trani, per la prima volta in tanti anni ha dovuto alzare bandiera bianca e disdire una raccolta programmata al centro trasfusionale. “È successo il 18 settembre, in trent’anni non era mai accaduto prima – spiega Ardillo –. Solitamente abbiamo uno zoccolo duro di 20-25 persone, quel giorno erano appena tre. Abbiamo dovuto disdire perché con così poche persone non era possibile coprire i costi del personale sanitario. Da due anni notiamo una contrazione del numero di donatori, non abbiamo mai avuto grossi problemi e contiamo di non averne più, è vero però che l’emergenza Covid ha sicuramente impattato in maniera pesante in tutto il sistema con effetti che possiamo già misurare e che andranno analizzati anche nel medio – lungo periodo. Spero che quanto accaduto il 18 settembre sia stato un incidente, che rimanga unico e che per la prossima raccolta del 18 ottobre Trani risponda presente”.

C’è poi il caso Roma, in basso nelle classifiche delle città più virtuose nonostante un territorio vastissimo e quasi tre milioni di abitanti. Maurizio Colace, referente Fratres della Capitale, racconta un aneddoto che ben spiega le difficoltà del territorio: “Poco tempo addietro avevamo organizzato una raccolta sangue in via Teulada (zona Della Vittoria, ndr) con un’autoemoteca, quella mattina un residente si stava recando all’ospedale San Giovanni per una donazione organizzata da un’altra associazione. Appena ci ha visto, uscendo di casa, ha immediatamente aderito alla nostra raccolta”. La distanza in linea d’aria tra via Teulada e l’ospedale San Giovanni di Roma è di circa cinque chilometri, che diventano diciassette quando si prende l’auto e si passa dal Grande raccordo anulare. Diciassette chilometri nel traffico di Roma che scoreggerebbero chiunque. La mancanza di strutture inserite capillarmente nel territorio è uno dei motivi per cui la Capitale è così indietro sul fronte della raccolta sangue. Ma non è il solo. “Il calendario delle raccolte – continua Colace – viene programmato a inizio anno, poi chiediamo alla Regione la disponibilità dell’autoemoteca che ci viene confermata soltanto pochi giorni della data stabilita, ma di autoemoteche ce ne sono soltanto tre e dovrebbero coprire le necessità di un territorio enorme. Da dicembre 2021 a oggi abbiamo dovuto cancellare quattro raccolte già programmate perché il mezzo non era disponibile”.

(Dal sito di Donatori H24)